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lunedì 28 maggio 2012

Diario di antonio

nel giorno 19° del mio sciopero della fame
continuo a pubblicare le pagine che ho scritto in carcere.



Mercoledì 1 febbraio


Sono rientrato in cella spinto dal freddo che inonda quello spazio sudicio che osano chiamare cortile. Un recinto di mt 3,5 X 5,0 con mura di cemento armato sovrastate da una fitta e forte rete. Si riesce a malapena a intravedere un pezzetto di cielo, mentre il sole non riesce a raggiungerlo neppure con un raggio. Deposito dei rifiuti della mensa in attesa di essere asportati, cosa che non sembra accada tutti i giorni, un tappeto di cicche e altre immondizie.
Ieri mi è stato comunicato che non possono trasferirmi in sezione perché, a loro dire, non vi è posto dove collocarmi. E così devo rimanere in questa cella ancora più sudicia, se possibile, tutte le 24 ore che compongono la giornata.
Ho perso la cognizione del tempo e pure dello spazio. Rimango ristretto in questo luogo che non è spazio.
Stamani sono solo, il mio compagno è stato tradotto in Tribunale. Finalmente il rumore che esce dallo schermo tace. La porta è chiusa ma il trambusto e lo sferragliare del carrello porta spesa, nel corridoio entra con violenza a rompere il vuoto. Dallo sportello del magazzino sul fondo del corridoio escono merci di ogni genere in scatoloni, sciolti, in casse. Tutto si ammucchia sul pavimento che vorrebbero pulito. E dal pavimento viene gettato sul carrello da due giovani che forse non trovavano lavoro nella vita e quindi han dovuto entrare qua dentro per dirsi lavoratori. E’ la spesa settimanale degli ospiti di questo non luogo.
Quando poi arriva il carrello con ciò che osano chiamare “pasto” lo confondo con quello della spesa, devono bussare e comunicarmi che si mangia.
Domani scade la prima settimana che queste mura, cancelli, sbarre mi ospitano ed ancora devo ingurgitare solette di scarpe spacciate per carne, pasta scotta con un qualcosa che dicono sia pomodoro, ma il colore sicuramente non lo denuncia, sorvoliamo poi sul sapore. Non sono mai riuscito a mangiare senza il pane. Appartengo ad una società oramai estinta, sono tra i residui della società contadina sul cui sudore ebbe sviluppo quella che oggi chiamano società industriale. Ma per adesso non hanno inventato il metodo di fare il pane col petrolio
Oggi pare che anche il dio dei cristiani ci abbia abbandonato.
E non ci hanno portato il “nostro pane quotidiano” !
Ovviamente la mia curiosità mi spinge a voler sapere il motivo.
Ricordo di aver letto sull’etichetta, tanto per sapere che pane si mangiava, che viene prodotto e confezionato a Milano, o Pavia. Ma potrebbe essere anche Vicenza. Domani ricontrollo.
La neve della nottata ha impedito al corriere la consegna. Difficile contestare questa affermazione, o dire che possa essere una scusa. La televisione ci ha comunicato che nevica da alcuni giorni. Il pane prodotto in toscana forse è troppo buono da sciuparlo per chi non ha alcun diritto. Non sia mai detto che si dica di essere trattati quali umani.

Antonio Ginetti

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